“Sono
dinosauri, sono già wow!”. Una delle prime battute dell’ultimo
film con tema i giganti preistorici sembra quasi ricalcare il manifesto che
ogni critico formatosi cinematograficamente durante gli anni ’90 potrebbe
utilizzare per descrivere il suo impatto con Jurassic World. È inutile girarci intorno, i dinosauri si sono già dimostrati, negli anni, uno dei temi più
gettonati quando si parla di cinema d’intrattenimento (partiamo da Jurassic Park ma pensiamo anche
all’ambizioso Dinosauri della
Disney).
“Sono dinosauri, sono già wow!” quindi perché annacquare tutto in effetti speciali di ultima generazione che rischiano di appiattire tutti gli spunti che eventualmente offre il film sotto una patina da blockbuster milionario? Jurassic World nasce inizialmente col nome di Jurassic Park IV, ma fin dall’inizio si capisce che il nuovo prodotto della serie sarà qualcosa di totalmente diverso dai suoi predecessori. Nell’era dei computer, ai famigerati dinosauri animati grazie a sforzi immani dai geni dell’Industrial Light And Magic, alcuni addirittura in stop motion (per questo molto più realistici dei nuovi, sicuramente più perfetti ma meno tangibili) vengono sostituiti nuovi giganti interamente computerizzati, caratteristica che, se da un lato alza la soglia delle scene d’azione che si possono realizzare, aumenta allo stesso tempo il distacco dello spettatore con i personaggi che sfuggono agli attacchi dei mostri preistorici. Le realizzazioni al computer creano una barriera tra situazione e spettatore a causa della loro riconoscibilità che fa perdere l’illusione e l’empatia di chi guarda con le parti in gioco. Oltre agli effetti speciali il film viene proposto nella versione 3D, ulteriore aggiunta ad una materia che, come già detto nella citazione iniziale, avrebbe dovuto garantire il successo al film praticamente da solo. Al contempo è altrettanto vero che una produzione così ambiziosa doveva distinguersi dalla schiera di film tutti uguali sui dinosauri che si sono avvicendati sui grandi schermi negli ultimi anni. Come fare? La risposta è già nel copione: creare un dinosauro “più grosso, con più denti, più fico”. Per questo al classico T-Rex, finora il re indiscusso del palcoscenico, e agli immancabili Velociraptor vengono sostituiti il nuovo Indominus Rex, un ibrido composto di più specie preistoriche e non, e il Mosasauro, il gigante nella vasca. Nuovi dinosauri per un nuovo film. È sufficiente questo cocktail di tecnologie, novità preistoriche e un cast in via di consolidamento per ottenere il consenso generale? La maggior parte direbbe no, nonostante gli incassi abbiano superato ogni più rosea aspettativa e si vociferi ultimamente che, proprio a partire da questo nuovo film, stia per partire la produzione di una nuova trilogia di Jurassic. C’è effettivamente qualcosa di più dietro quest’ultimo prodotto dell’industria del blockbuster, dove l’azione e le scene pirotecniche sono o dovrebbero essere tutto?
“Sono dinosauri, sono già wow!” quindi perché annacquare tutto in effetti speciali di ultima generazione che rischiano di appiattire tutti gli spunti che eventualmente offre il film sotto una patina da blockbuster milionario? Jurassic World nasce inizialmente col nome di Jurassic Park IV, ma fin dall’inizio si capisce che il nuovo prodotto della serie sarà qualcosa di totalmente diverso dai suoi predecessori. Nell’era dei computer, ai famigerati dinosauri animati grazie a sforzi immani dai geni dell’Industrial Light And Magic, alcuni addirittura in stop motion (per questo molto più realistici dei nuovi, sicuramente più perfetti ma meno tangibili) vengono sostituiti nuovi giganti interamente computerizzati, caratteristica che, se da un lato alza la soglia delle scene d’azione che si possono realizzare, aumenta allo stesso tempo il distacco dello spettatore con i personaggi che sfuggono agli attacchi dei mostri preistorici. Le realizzazioni al computer creano una barriera tra situazione e spettatore a causa della loro riconoscibilità che fa perdere l’illusione e l’empatia di chi guarda con le parti in gioco. Oltre agli effetti speciali il film viene proposto nella versione 3D, ulteriore aggiunta ad una materia che, come già detto nella citazione iniziale, avrebbe dovuto garantire il successo al film praticamente da solo. Al contempo è altrettanto vero che una produzione così ambiziosa doveva distinguersi dalla schiera di film tutti uguali sui dinosauri che si sono avvicendati sui grandi schermi negli ultimi anni. Come fare? La risposta è già nel copione: creare un dinosauro “più grosso, con più denti, più fico”. Per questo al classico T-Rex, finora il re indiscusso del palcoscenico, e agli immancabili Velociraptor vengono sostituiti il nuovo Indominus Rex, un ibrido composto di più specie preistoriche e non, e il Mosasauro, il gigante nella vasca. Nuovi dinosauri per un nuovo film. È sufficiente questo cocktail di tecnologie, novità preistoriche e un cast in via di consolidamento per ottenere il consenso generale? La maggior parte direbbe no, nonostante gli incassi abbiano superato ogni più rosea aspettativa e si vociferi ultimamente che, proprio a partire da questo nuovo film, stia per partire la produzione di una nuova trilogia di Jurassic. C’è effettivamente qualcosa di più dietro quest’ultimo prodotto dell’industria del blockbuster, dove l’azione e le scene pirotecniche sono o dovrebbero essere tutto?
La trama è abbastanza tipica del genere: un nuovo
super dinosauro geneticamente modificato semina panico e terrore tra gli ospiti
del parco a tema di cui sta per diventare la prossima attrazione. Toccherà ad
un uomo particolarmente in familiarità coi dinosauri, non più uno studioso ma
un domatore di Velociraptor, aiutato dalla direttrice del parco e dei suoi due
nipoti trovare la soluzione per sconfiggere la nuova minaccia prima che mieta
troppe vittime. L’uomo tuttavia non può sconfiggere da solo la forza
inarrestabile di un nuovo colosso da laboratorio, perciò i protagonisti saranno
coadiuvati da creature preistoriche vecchi e nuove, Velociraptor, T-Rex e
l’enorme balena giurassica. Proprio di questo gigante sarà la vittoria finale e
il ristabilimento dell’ordine. L’uomo è il garante dell’ordine e della civiltà
in un mondo dove la ragione non vincerà mai sull’istinto e sulla forza. Ma è
solo questo il senso del film? L’eterna battaglia tra l’uomo e la natura
indomabile? Osserviamo più da vicino le forze in gioco.
L’Indominus
Rex:
il protagonista assoluto del film e nuova macchina del terrore. Geneticamente
modificato, è creato per essere la nuova attrazione del parco, perciò deve
distinguersi dai cugini per adattamento, astuzia e crudeltà. Creato da uomini
che credono di poterlo controllare, finisce per scontrarsi con altri suoi
simili e perire proprio per mano (o meglio, per denti) di uno di loro,
anch’esso creato dall’uomo con tecniche contemporanee ma di stampo più
tradizionale.
Velociraptor:
il dinosauro classico di ogni film di questa saga, da macchina di morte qui
diventa un cucciolo, o una squadra di cuccioli, ammaestrato e piegato al volere
di un Alfa umano. Praticamente una pistola carica pronta ad essere usata, una
creatura conosciuta su cui fondare la garanzia della sicurezza per le
generazioni future.
T-Rex:
il re dell’isola, viene detronizzato da un modello nuovo e più spaventoso di
colosso. Non solo aumenta il livello di forza necessaria per sconfiggere
l’Indominus, ma la sua funzione principale è di fare da collegamento con la
trilogia precedente, essendo lo stesso esemplare che ha passato gli ultimi
vent’anni sull’isola originale per poi essere ricatturato e restituito alla sua
funzione originale: divertire un pubblico pagante.
Il
Mosasauro: una delle novità del film, da mera attrazione per
turisti (essendo vincolato all’acqua della vasca in cui è rinchiuso) sarà la
vera arma contro l’Indominus. Nuova forza contro nuova forza.
Quattro dinosauri, quattro macchine letali pronte a
distruggersi tra loro e a trascinare nella battaglia i loro creatori. Ma non
solo quelli che li hanno creati. La guerra trascina sul campo anche il
proprietario del parco (che muore in un incidente in elicottero) e la
direttrice delle attività, nonché i vari soldati e addestratori. Coinvolge
tutto il team. O la troupe? È possibile che, unendo questo tipo di trama ai
tanto vilipesi effetti speciali, il regista/sceneggiatore abbia voluto creare
qualcos’altro? Una metafora dello stesso mondo da cui tutti loro provengono e
in cui vivono e lavorano? Sta parlando dell’industria cinematografica? Se si fa
un passo indietro e si osserva il quadro generale, le varie figure si
sovrappongono quasi perfettamente. Simon Masrani (interpretato da Irrfan Khan, Vita di Pi) è l’uomo dietro tutto il
progetto, colui che materialmente finanzia o cerca finanziamenti per lo
sviluppo del parco, praticamente come un produttore che detiene i diritti del
film. Il dottor Wu a cui Masrani ordina dinosauri sempre più elaborati
pericolosi e affascinanti è come lo sceneggiatore, colui che mette mano
direttamente alla materia grezza combinandola e rendendola migliore e adatta al
pubblico. Claire Dearing (interpretata da Bryce Dallas Howard) è la direttrice
dell’isola, colei che governa la vita delle attrazioni, il dispiegamento di
forze e controlla che ogni membro del team tecnico compia il proprio dovere:
praticamente un regista. Owen Grady e Barry (Chris Pratt, Guardians of the Galaxy e Omar Sy, Quasi Amici) sono i responsabili dell’addestramento dei Raptor e i
consulenti tecnici per le abitudini dei dinosauri cioè degli assistenti della
produzione. Il cast tecnico è completo, se aggiungiamo il pubblico che si
lascia trasportare dagli eventi (i nipoti di Claire) e che deve essere tutelato.
Il quadro è finito. I dinosauri in tutto questo che ruolo hanno?
Jurassic
World si apre con una panoramica delle maggiori attrazioni
del parco: T-Rex, Raptor, erbivori vari e infine il Mosasauro, la grande
novità. Tutti esemplari a loro modo controllati e gestiti dall’uomo, come se
fossero ormai ridotti a cuccioli inoffensivi completamente dominati, come le
tigri allo zoo o i leoni del circo. Rappresentano la tradizione consolidata dei
film su cui le nuove generazioni possono fondare le proprie scelte e,
inevitabilmente, una misura limite con cui fare i conti. T-Rex e Raptor sono
questo, creature ormai conosciute e sfruttabili dall’uomo a suo piacimento;
rappresentano una tipologia di film ormai consolidata e dal successo sicuro,
con cui ogni aspirante cineasta può destreggiarsi riuscendo ad ottenere il
successo sperato. Il Mosasauro è invece una novità ibrida di componenti della
tradizione rielaborati in modo innovativo, un film nuovo ma in qualche modo
sotto controllo dei vari membri della troupe tecnica e della produzione, nuovo
ma “domato” e inserito in dinamiche precise, che infatti ne determinano il
successo sul pubblico. Tra queste due potenze, la tradizione e la novità
controllata, si innesta l’Indominus, un misto di tradizioni diverse che si
fondono per creare una realtà nuova, ma proprio questo suo essere un’unità
frammentata di tante parti non lo rende collocabile in nessuna corrente e lo
getta nello sbaraglio. Lo stesso succede con tanti film di cui neanche la
produzione sa gestire la novità, che inevitabilmente si scontrano con la
tradizione precedente e che immancabilmente ne viene sconfitto. Nel caso
dell’Indominus, la tradizione non è sufficiente ad abbatterlo, ma subentra una
riuscita forza innovativa ma controllabile che lo finisce. In conclusione, lo
scontro finale di Jurassic World è
un’allegoria della vita di un film troppo innovativo per avere un territorio in
cui vivere e da comandare, troppo innovativo per innestarsi e dominare la sua
tradizione e allo stesso tempo troppo incontrollabile perché regia e produzione
possano lanciarlo da solo sul mercato. A differenza dell’Indominus infatti, il
Mosasauro è nuovo e innovativo, ma controllabile gestibile e inscrivibile in un
disegno più grande, in poche parole sfruttabile. L’eterna lotta tra l’uomo e la
natura, la materia o la tecnologia che sfugge al controllo umano, a seconda del
caso.
Spesso ci si lamenta dei nuovi film, sempre più
carichi di effetti speciali e situazioni al limite dell’assurdo, ma ci siamo
mai chiesti perché, soprattutto nella produzione blockbuster, vengono
realizzati prodotti sempre più elaborati dal punto di vista tecnico ma poco
sapidi di situazioni coinvolgenti? Anche la risposta a questo quesito è nel
testo: vengono realizzati questo tipo di film perché è ciò che il pubblico, che
ormai conosce tutti i rudimenti dell’arte cinematografica e difficilmente può
essere stupito, cerca, qualcosa che alzi l’asta limite sempre più. “Più grosso, più denti, più fico”. Anche
a costo che questa ricerca dell’impossibile si trasformi in flop che deludono
gli spettatori ed esplodono in faccia ai produttori. Con Jurassic World questo non è accaduto, riuscendo in breve tempo a
scalare la classifica dei maggiori incassi di tutti i tempi e dando il La alla
seconda fase del franchise, confermando l’avvio di una nuova trilogia finora
solo auspicata. Ma cosa ci sta dicendo
in realtà Colin Trevorrow, regista e co-sceneggiatore del film? Che la maggior
parte della responsabilità dei film che escono è della produzione, ma che
quest’ultima non fa altro che cercare di intercettare i desideri del pubblico
sempre più esigente. Perciò, per quanto possiamo ritenere responsabili
produttori registi e distributori, la colpa, se di colpa si può parlare,
dell’evoluzione dei film verso situazioni sempre più estreme è anche nostra, di
noi come pubblico che non ci accontentiamo più di guardare delle immagini, ma
vogliamo essere trascinati verso pericoli sempre più estremi. Jurassic World non è l’unico esempio, di
saghe con questo modus operandi ne sono piene le sale, una su tutte
l’interminabile Fast and Furious, di
cui si sta realizzando l’ottavo capitolo: dopo auto che trascinano una
cassaforte gigante, carri armati in autostrada, aerei che percorrono piste
infinite e salti con veicoli attraverso tre grattacieli, chissà cosa succederà,
e dopo l’Indominus chissà cosa capiterà anche al prossimo Jurassic.
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